La leggenda narra che il beato Antonio si trovava un giorno nei pressi
della città di Barcellona, di
fronte alle porte del palazzo del proposito regio. “Una scrofa, trattenendolo
con le fauci”, narra Aymar Falcoz, “trascinò” un porcellino zoppo e malato che
aveva appena partorito. Lo depose dinanzi ai piedi del santo con lamenti e
grugniti quasi a chiedere, come poteva, aiuto e guarigione. Mentre tutti erano
presenti a quanto avveniva e se ne meravigliarono, il sant’uomo di dio
immediatamente operò la guarigione. Per tale miracolo fu da tutti riconosciuto
e fu accompagnato presso il re gravemente ammalato cui, con l’aiuto di dio,
restituì la salute. Perciò gli abitanti di quella regione intesero
rappresentare per immagine il ricordo dell’impresa di quel santo padre e
aggiunsero ai piedi di questi un maiale.
Questa è soltanto una delle tante versioni della leggenda, un’altra, ad
esempio, narra che il maialino lo seguì per tutta la vita diventando il suo
inseparabile compagno. In seguito gli si attribuì il patronato sui maiali
e per estensione a tutti gli animali domestici.
Sant’Antonio Abate è realmente vissuto in Egitto tra il 250 e il 356,
(come ci dimostra anche la sua lettera
autentica, che ci è pervenuta, indirizzata all’abate Teodoro e ai suoi monaci),
e pare sia morto effettivamente il 17 gennaio, e questo spiegherebbe la sua
collocazione calendariale.
Così Sant’Antonio ha assunto a
poco a poco le funzioni di divinità pagane. È sempre successo che i
convertiti trasferissero, all’interno della nuova fede, usanze e riti
della precedente, per non perdere la loro l’identità.
Infatti ancor oggi il 17 gennaio si benedicono gli animali domestici
sul sagrato delle chiese dedicate al santo.
Si offrivano i prodotti della terra al sacerdote che a sua volta distribuiva
immagini di sant’Antonio da appendersi come amuleti nelle stalle.
Sant’Antonio è considerato anche il guaritore dell’herpes zoster,
ovvero il così detto “Fuoco di Sant’Antonio”. Gli agiografi cristiani collegano
a questa funzione l’usanza di incendiare, nella notte che precede la festa,
grandi cataste di legna, dette “falò di sant’Antonio”, le cui ceneri sono
considerate amuleti. In questo contesto il fuoco ha una funzione purificatrice,
brucia ciò che resta del vecchio anno, compresi i mali e le malattie.
Ma la spiegazione popolare è un’altra, legata alla leggenda: Sant’Antonio
sarebbe il padrone del fuoco, compresa quella sensazione di bruciore dell’herpes
zoster, e addirittura avrebbe funzione di custode dell’inferno: ingannerebbe i
diavoli sottraendo loro alcune anime non meritevoli delle fiamme eterne.
Narra una leggenda del Nuorese che una volta nel mondo non c’era fuoco
e si soffriva il freddo. Alcuni uomini chiesero aiuto a Antonio, che viveva nel
deserto della Tebaide, affinché gli procurasse del fuoco. L’eremita andò a
bussare, con il suo maialino, alle porte dell’inferno. Quando i diavoli lo
videro si spaventarono perché conoscevano i suoi poteri, e lo respinsero ma
mentre stavano per chiudere la porta, entrò il maialino, che si mise a scorrazzare
sconvolgendo la vita dei diavoli. Per risolvere il problema, pregarono
sant’Antonio affinché ritornasse all’inferno per riprendersi la bestiaccia. Il
santo scese nel regno dei diavoli con l’inseparabile bastone a forma di Tau.
Durante la risalita, fece prendere fuoco al bastone, e così appena giunto sulla
terra poté accendere una catasta di legna per gli uomini e donargli così il
fuoco. Da allora il fuoco ha riscaldato l’umanità.
Sant’Antonio è un santo con moltepilci aspetti ed è ancora molto caro a
tutti i fedeli cristiani come protettore degli animali, custode dell’inferno, portatore
del fuoco (ovvero della vita agli uomini).
 |
Maestro dell'osservanza, S. Antonio Abate, 1425, Musèe du Louvre, Parigi |
Tutte queste storie, collegate ai santi dei primi secoli, celano un
nucleo precristiano.
Si è tuttavia osservato che il maialino in origine era un cinghiale, in
un quadro custodito alla National Gallery di Londra, il Pisanello raffigurò
l’eremita con un cinghiale.
Il cinghiale era l’attributo di un dio celtico rappresentato come un
giovane che porta in braccio l’animale. Secondo Margarethe Riemschneider1,
studiosa tedesca, questo dio-cinghiale era il simbolo di Lug, rappresentato
anche come dio-cervo e dio del gioco.
 |
La Madonna tra Sant'Antonio Abate e San Giorgio,
Pisanello, 1445, National Gallery, Londra
|
Lug era colui che risorgeva assicurando la resurrezione dell’uomo e, ogni
anno, il ritorno della primavera, della “luce”: dunque garante di fecondità e
di nuova vita. Era figlio della Grande Madre celtica cui erano consacrati i
cinghiali e i maiali, come alla romana Cerere.
I celti lo onoravano al punto di mettere una statuetta di cinghiale
sull’elmo e di raffigurarli sugli stendardi. Spalmavano addirittura sui
capelli, che portavano corti, una densa poltiglia di gesso perché diventassero
rigidi e assomigliassero alla cotenna dell’animale, come testimonia il Galata
morente del Museo Capitolino a Roma.
In molte leggende dell’area celtica si narrava la caccia al cinghiale
immortale attuata per impadronirsi di un pettine e di una forbice posti fra le
sue orecchie: allegoria della comunione, in forma di cosmesi, con il dio Lug,
simboleggiata appunto dai capelli impomatati come setole. Gli stessi sacerdoti
druidi erano chiamati “Grandi Cinghiali Bianchi”. Anche nel Medioevo il cinghiale restava a tutti gli effetti un
animale divino, correva voce infatti che tutti i re della stirpe merovingia
avessero la spina dorsale coperta di setole al pari dei cinghiali, e Teofane2
riferisce che avevano il
soprannome di “schiena-pelosa” o di “setolosi”.
 |
Dio Lug rappresentato con il cinghiale |
 |
Cinghiali da elmo celtici |
I Celti convertiti hanno probabilmente trasferito gli attributi di Lug
su sant’Antonio, le cui reliquie furono portate dai crociati nella città di
Arles, proprio nelle loro terre, in Francia.
In seguito il cinghiale fu ingentilito e sostituito con il maialino,
per estirpare il ricordo dell’antica religione precristiana. Giustificarono il
maialino con due leggende: la prima narra che il maialino era il diavolo
sconfitto dall’eremita e costretto a seguirlo sottomesso, la seconda è quella
citata all’inizio del post.
Inoltre la campanella antoniana, che il santo porta con sé
nell’iconografia tradizionale è il simbolo della morte e della resurrezione,
anticamente simbolo del ventre materno, connessa alla Grande Madre.
 |
S. Antonio raffigurato con la celebre campanella della resurrezione |
Lug, dio della morte e della resurrezione, regnava sugli inferi con
questa funzione; nel processo di cristianizzazione, sant’Antonio assunse anche
quella di custode dell’inferno, divenne perciò colui che poteva salvare le
anime destinate alla dannazione, e quindi “padrone del fuoco”.
Solo seguendo questo itinerario sotterraneo fra religiosità pagana e
cristianità medioevale si può spiegare l’enorme e, a prima vista,
incomprensibile popolarità in occidente dell’anacoreta egiziano e della sua
festa in cui, si portano a benedire gli animali domestici per scongiurarne le
malattie e favorirne la fecondità.
In questa cerimonia l’eco delle lustrazioni antiche è chiaramente
percepibile, di conseguenza la memoria dell’eremita svanisce in una fusione di
riti, alcuni romani, altri di origine celtica, che hanno la funzione di
favorire l’avvento della primavera.
Note:
Margarethe Riemschneider: studiosa
tedesca della cultura celtica in Europa
Teofane: detto Confessore o Isauro (Costantinopoli, 758 – Samotracia 817 o 818) è stato uno storico bizantino.
Riferimenti bibliografici:
Alfredo Cattabiani - Calendario: le feste, i miti, le leggende e i riti
dell'anno
Fonte: http://www.cavernacosmica.com/i-misteri-di-s-antonio/